Musica mia vita
che il tuo amore è il silenzio
e chi parla non lo sa
“Quale
allodetta ch'n aere si spazia Prima cantando, e poi tace contenta Dell'ultima
dolcezza che la sazia” Dante Alighieri
“Le
allodole, che sono amiche della luce e hanno paura del buio della sera, al
momento del transito del santo, pur essendo già imminente la notte, vennero a
grandi stormi sopra il tetto della casa e roteando a lungo con non so quale
insolito giubilo, rendevano testimonianza gioiosa e palese alla gloria del
santo, che tante volte le aveva invitate a lodare Dio” San Bonaventura di Bagnoregio
Si definisce
musica un insieme di suoni articolato e armonioso (e quanta "musica"
di oggi non rientrerebbe in questa definizione!). E i suoni altro non sono che
onde vibrazionali. Ma di vibrazioni elettromagnetiche noi siamo fatti.
La
regolazione di molte funzioni del corpo umano, animale o vegetale è dovuta a
onde vibrazionali coerenti (studi di Froelich, Popp, Del Giudice, Kervran,
Vithoulkas e altri recentissimi sugli effetti dell’omeopatia, della
cromoterapia, del soft-laser, della musicoterapia), e studiosi del calibro di
Bienveniste affermano che qualsiasi sostanza agisce attraverso la sua specifica
vibrazione, piuttosto che grazie alla sua composizione molecolare.
La vita
stessa, in una bellissima definizione, non è altro che "luce compressa",
grazie alla fotosintesi che trasforma sostanze inerti in composti biochimici
indispensabili alla vita, tanto nostra quanto delle piante.
Ecco perchè, quando
sentiamo una bella musica, che ci colpisce nel profondo, non sono solo le
nostre orecchie a percepirla, ma l’intero nostro corpo che, attraverso la
mediazione del cervello, ne percepisce il ritmo, la profondità, il timbro e, in
sintesi, l’armonia profonda della sua vibrazione.
E’ un fatto intuitivamente
noto a tutte le persone sensibili: ogni forma di vita, animale o vegetale, vive
meglio quando è circondata da amore, affetto, cura. Da qualche decennio alcuni
studi innovativi hanno evidenziato nelle piante reazioni misurabili
elettronicamente con oscillografi, a seguito di stimolazioni particolari (taglio
di rami e foglie, ustioni ecc.). In particolare gli studi di Clive Backster
negli anni ‘60 negli Stati Uniti, e quelli di poco successivi di Hashimoto in
Giappone, seguiti in Italia da Valerio Sanfo, hanno evidenziato una sensibilità
enorme in quasi tutte le piante testate.
Sono state notate capacità di
memorizzazione di fatti e persone (le piante mostravano paura al rivedere una
persona che in loro presenza aveva distrutto un’altra pianta), una capacità di
movimento (collegate a un dispositivo su ruote), quando non addirittura di
scelta (collegate a dispositivi per l’innaffiamento o per l’illuminazione).
Perchè allora non pensare che possano anche godere di una buona musica? Certo
le piante non hanno orecchie, ma siamo così sicuri, noi, di sentire la musica
solo con le orecchie? Scrive Curt Sachs, uno dei padri dell’etnomusicologia
moderna, a proposito di conservazione e magia nella musica primitiva:
"Nelle civiltà agricole, l’esistenza di ognuno dipende dalla misteriosa
crescita del seme.
Si tratta sempre di protezione della vita, quindi, quando
durante l’aratura si cerca di far trascorrere con riti magici il periodo
critico tra la stagione della semina e quella della mietitura". Riti
magici e musicali per la produzione di cibo, cibo per la mente e musica per il
corpo. La disciplina che si occupa della musica contadina e, in generale, della
musica di tradizione orale è, si sa, l’etnomusicologia che, secondo la definizione
di Roberto Leydi, "studia le musiche etniche, popolari e delle civiltà
extraeuropee, cioè quella parte quantitativamente prevalente del repertorio
mondiale per consuetudine, ma ingiustamente, lasciata ai margini dalla cultura
musicale ufficiale". La novità del seminario Nutrimento e Suono, ideato e
condotto da un’etnomusicologo e da un medico bio-energetico
naturale , sta nel fatto che per la prima
volta la salute corporale viene, scientificamente, messa in correlazione con il
suo stesso suono interiore.
Il presupposto è che la musica è espressione
dell’equilibrio tra benessere e malessere. L’ascolto, così come la creazione
musicale, può essere, al tempo stesso, veicolo e rimedio dello stato di salute.
Per stato di salute non si intende qualcosa di statico, ma un concatenarsi di
movimenti consequenziali di interazioni cellulari, volti al benessere del
sistema umano. Quest’ultimo esprime e riceve informazioni rispetto all’ambiente
esterno tramite i cinque sensi.
La musica è in grado di contemplarli e
comprenderli tutti in una somma simultaneamente sensoriale e motoria, che
trascende ed evolve gli stessi per arrivare alla definizione di un nuovo
sistema relazionale.
Sappiamo che il corpo umano in equilibrio necessita di
nutrimento per assicurare alle cellule energia vitale (ciclo di Krebs) e che, a
sua volta, il corpo umano è in grado di procurare nutrienti. Allo stesso modo,
la musica è espressione di cibo vitale nell’ascolto e nella creazione musicale.
Fin dall’antichità, all’arte musicale viene riconosciuto un ruolo essenziale
come segnale sullo stato di un sistema e nell’eventuale iter terapeutico e di
prevenzione. Che sia l’isteria e la follia della trance divinatoria e medianica
dei popoli meridionali oppure il canto propiziatorio dei Pigmei della Foresta
di Ituri o ancora il rito di iniziazione del candomblé brasiliano, il canto e
la musica dell’estasi fanno parte della storia dell’uomo.
Ma le espressioni
musicali non sono mai fini a se stesse. Sostiene il sociologo belga Albert
Marinus: "In ogni manifestazione folklorica c’è almeno un uomo che agisce,
un uomo per il quale essa ha importanza e una sua utilità. Se non c’è almeno un
individuo per il quale una certa manifestazione ha ragion d’essere, essa scompare".
Altra cosa è l’uso commerciale che si è fatto, soprattutto in questi ultimi
anni, dei termini meditazione e preghiera: guru da mercato del pesce ed
annoiate signore in cerca di nuove emozioni hanno inquinato uno degli aspetti
più interessanti ed affascinanti delle espressioni del culto della possessione
e della vocazione.
La forma seminariale della ricerca intende portare
all’attenzione di tutti i risultati scientifici e dimostrabili. Ci si propone
di guardare all’infinito mondo sonoro che ci circonda, partendo dal silenzio
fino ad arrivare agli ultrasuoni, che, utilizzati, potrebbero avere un ruolo
determinante nell’impressionare il nostro inconscio eludendo i meccanismi di
difesa dell’io. Lo psichiatra infantile e musicista Rolando Benenzon parla di
alcuni suoni, classificati come regressivogenetici, quali il battito del cuore,
i rumori intestinali, quelli delle articolazioni, il battito del polso, i
processi enzimatici, che vengono recepiti dal nostro organismo attraverso un
sistema di percezione interna ancora sconosciuto.
Le sensazioni e le emozioni
giungono al talamo, luogo del nostro cervello dove permangono in modo non
cosciente; di qui, l’idea che, con un ritmo musicale, si possono provocare
risposte automatiche anch’esse inconsce.
Anche le funzioni del linguaggio sono
strettamente connesse alla musica, tanto che alcuni studi sulle aree anatomiche
e cerebrali confermano che i ritardi nelle funzioni musicali sono quasi sempre
connessi a inibizioni in altre funzioni psicomotorie, tra cui la parola ed il
linguaggio.
Un chiaro esempio dell’interrelazione neuro-endocrina, poi, ci
viene da quelle madri che, al pianto del loro bambino, rispondono con una
secrezione lattea copiosa. Ancora, esperimenti condotti prima su piante e
animali hanno dimostrato, ad esempio, che la musica aiuta nelle coltivazioni
intensive o, ormai famoso aneddoto, nella produzione di latte. Ancora da
Benenzon apprendiamo che verso la fine del 1880, molti medici e fisiologi si
interessarono allo studio biologico della musica.
Tra i
compositori, André E. M. Grétry ed Hector Berlioz fecero interessanti
osservazioni circa l’azione della musica sul polso e sulla circolazione. E
all’ascolto di musiche di Franck, Schubert e Bartók da parte di una trentina di
soggetti, si constatò un certo tipo di risposta all’E.E.G., strumento che
registra il riflesso psico-galvanico della pelle (variazione della resistenza
elettrica della pelle), soprattutto quando si faceva ascoltare un brano noto al
soggetto. In ultimo, alcuni esperimenti sul DNA e l’RNA hanno dimostrato che,
per mezzo di determinati suoni, si può provocare un’alterazione della
biosintesi delle proteine puriche e pirimidiche nelle cellule viventi, portando
a mutamenti nell’acido desossiribonucleico. In definitiva, l’intenzione della
ricerca, denominata per studio e per poesia Nutrimento e Suono, è seguire il
percorso della musica come strada propedeutica al benessere ed alla guarigione
individuale, collettiva, ambientale. Come un’onda che ha la sua origine in un
piccolo movimento (cellula-individuo) e che si propaga allargandosi
(corpo-comunità), fino ad interagire (movimento comune-danza) finanche con i
fenomeni atmosferici (pioggia- benessere), che, a loro volta, garantiscono il
cibo (frutti), alla base di una giusta nutrizione.
Esperimenti inglesi di qualche decennio fa, avevano constatato un incremento nella produzione di latte di vacche a cui veniva fatta ascoltare musica classica. Altrettanto era avvenuto con la produzione di galline ovaiole.
Curiosamente, però, musiche poco armoniche o pezzi di rock duro, non avevano sortito alcun effetto. Come a dire: non tutta la musica trasmette vibrazioni positive. La musica che tocca il cuore, quindi, ha particolari caratteristiche: di ritmo, di armonia, di vibrazione. Nella nostra serra, per esempio, crescono rigogliosi e bellissimi dei Ficus benjamina che ascoltano buona musica quotidianamente.
Non siamo in grado di dire se dipenda solo da questo (oltre che dalle nostre buone cure), ma ci piace crederlo. Come ci piace credere che, a causa della profonda unità di tutti gli organismi viventi, una musica che tocchi nel profondo un uomo, sia in grado di toccare nel profondo anche una pianta, e viceversa. A livello cellulare, ma soprattutto a livello biochimico, c’è un’identità quasi totale tra uomini, animali e piante. E la struttura del DNA, ovvero dei cromosomi, è assolutamente identica. Deriviamo infatti tutti da un unico progenitore (forse un filamento di DNA, forse un protobatterio), sul quale poi ci siamo differenziati in autotrofi (fotosintetizzanti) ed eterotrofi, procarioti ed eucarioti, semplici o complessi ecc. Il che ci fa pensare che il nostro spirito, la nostra anima, il nostro principio di identità personale, o come lo si voglia chiamare, sia in tutto e per tutto comune. L’uomo e la natura sono la stessa cosa, e l’uomo è molto più dipendente dalla natura che non viceversa. Le piante sono tra le più antiche abitatrici di questa terra, molto prima dell’uomo, molto prima dei mammiferi, molto ma molto prima dei dinosauri. Avranno accumulato un po’ più di saggezza di quanto siamo stati in grado di fare noi? Studi svolti nell’immediato dopoguerra hanno messo in luce un potente effetto calmante, legato a ritmi che avessero la stessa frequenza del battito cardiaco che il feto sentiva nel ventre della madre.
Molti suoni in effetti possono indurre sensazioni diverse: dalla colonna sonora di un film violento (che induce all’aggressività) o del terrore (in grado di incutere paura). E i ritmi tribali, ossessivi e ripetitivi (su cui hanno svolto studi gruppi musicali molto noti, come per esempio i Talking heads), possono funzionare come droghe per chi li ascolta.
Avanzati studi sono stati svolti anche recentemente sugli effetti della musicoterapia. La musica può quindi avere un effetto biologico. E può influenzare pensieri e comportamenti, degli uomini come degli animali.
L’ipnosi stessa, usata da molti come vero e proprio strumento medico, si avvale di suoni o movimenti ripetitivi, attraverso cui riporta il soggetto curato ad uno stato originario di armonia e suggestione. Questo è lo stato di purezza originaria a cui vorremmo che la nostra musica portasse.
Tutto ciò che ha a che fare con la psiche, o comunque con le nostre sensazioni più profonde, è influenzato dalla nostra disponibilità e concentrazione. I rapporti fra musica e medicina si sono sviluppati attraverso i secoli e che la musica potesse partecipare all’alchimia dell’uomo, producendo trasmutazioni e modificazioni sostanziali, non è un concetto né solo orientale né solamente occidentale. Se la musica nel mondo tradizionale asiatico (induista, taoista, buddista), americano precolombiano ed africano ha scopi fisici e spirituali, il rapido excursus soprariportato mostra che l’attenzione per la relazione musica-salute fu grande anche nel mondo occidentale. L’attuale musicoterapia, infatti, non si basa su principi di tipo orientale[‡], ma su modelli occidentali che risalgono (nelle loro forme compiute) all'alchimia musicale di Monteverdi e della cosiddetta Camerata Fiorentina. Il rapporto fra alchimia e musica barocca fu stretto, diretto, storicamente provato.
Fra il 1570 ed il 1610, la musica strumentale, il canto solistico e il dramma si fusero in modo completo e diverso e da quell’unione nacquero l’opera e l’oratorio, i modi ancora oggi più diretti e suggestivi di parlare all’animo umano.
Aderirono a queste innovazioni (derivate dal neoplatonismo, dallo studio della cabala, dell’astrologia e dell’alchimia) Bach, Handel, Purcell, Vivaldi, che hanno concorso allo sviluppo di un linguaggio musicale ancora attuale, che sembra essere ancora (e soprattutto oggi) del tutto comprensibile.
Questo linguaggio limpido, graziosamente architettonico, ma prorompente di vitalità, deriva da una perfetta conoscenza dell’azione maieutica e terapeutica della musica. Claudio Monteverdi, l’autentico titano del nuovo linguaggio musicale-alchemico, praticava l’alchimia (introdottovi da Vincenzo Gonzaga) e dissemina di concezioni alchemiche tutta la sua opera. Più che in altre opere del XVI secolo (Splendor soli di Tresmosin o The amphiteatre of Eteranl Wisdom di Khunrath), nell’opera monteverdiana si trasfonde il senso della “musica come procedimento alchemico e iatrochimico” com’esempio evocativo di spiriti planetari le cui potenti vibrazioni e suoni potevano essere comprese e riprodotte.
Se Platone parlava d’idee pure presenti dentro di noi, Monteverdi e la “Camerata”, le cercano e le scovano attraverso la musica. Sebbene gli attuali musicologi e musicoterapisti siano portati a credere che l’emblema della visione alchemica in campo musicale, sia Emblemi, Fughe ed Epigrammi di Michael Maier del 1617, l’arte dei “duetti a confronto” e dei “trii armonici” capaci di “esseri compresi dall’anima” si sviluppa in opere monteverdiano come Il lamento di Arianna (1608) e I Vespri (1610). Monteverdi riflette sul fatto che le passioni umane sono tre, fondamentalmente: ira, moderazione ed umiltà e come, non casualmente, la nostra stessa voce con i suoi tre registri naturali (alto, medio basso) non faccia altro che esprimere queste passioni, queste inclinazioni naturali o mentalità.
Al contempo nell’arte musicale ci si riferisce ancora a queste tre inclinazioni quando si parla di stile o modo: “concitato”, “molle”, “temperato”. Infine Monteverdi nota che le passate generazioni (tardomedioevali e dei quattro-cinquecento) avevano molto usato gli stili “molle” e “temperato” e poco il “concitato”, poiché nell’animo antico l’ira, come sentimento, trova poco spazio. Intuizione geniale che, assieme agli studi della Camerata Fiorentina (soprattutto Giovanni Bardi, Giulio Caccini e Jacopo Peri), condussero Paracelso a definire la musica “cibo dell’anima”.
I musicisti-alchemico-cabalici del XVI-XVII secolo, scoprirono (prima della moderna musicoterapia”, la relazione fra suono, evocazione psichica ed equilibrio spirituale. I loro scopi, nel rispetto della tradizione di sapienza cui s’ispirarono (Platone e, attraverso la Kaballah, il mondo mistico ebraico ma anche sumero ed egizio) erano strettamente psico-spirituali (“riproduzione fedele del suono che il Cielo ci offre, con tutti i suoi benefichi effetti su tutta la terra”, scrive Caccini).
Ma mentre l’attuale musicoterapia si limita e registrare l’influenza non causale fra "armonie" e psiche, essi ritennero (e lo ritennero poi Marsilio Ficino, Giordano Bruno ed il poeta Yeats), che la musica umana (strumentale o vocale) poteva far variare il corso della vita, influenzando il cielo e gli spiriti celesti, secondo la visione ermetica che fu propria dei culti orfici tipici dell’Eurasia primordiale.
Per l’oriente la musica ci consente di “conoscere gli esseri celesti” che sovrastano e reggono la nostra vita. Ge Hong scriveva nel IV secolo d.C. (“il mio maestro insegnava che la musica ci permette di guardare all’interno e di vedere le sette anime po e le tre anime hun, in questo modo si raggiungono le podestà ed i principi del cielo e della terra”). E’ lo stesso concetto di Pitagora, di Platone, di Plinio, di Schopenauer e così via. Che la musica avesse valore terapeutico era già noto ai Metodisti seguaci di Asclepio di Bitinia, nella romana delle vittorie di Lucillo e Pompeo in Asia minore. Asclepio considerava la musica terapeutica e i diversi ritmi e le diverse melodie, in grado di variare “atomi” e “pori” (vuoti e pieni) all’interno dell’uomo.
Le culture orientali tendono ad attribuire alla musica una funzione vibratoria (energetica) e a considerarla, al pari del cibo, capace di avere un “sapore”, ed una “natura”. Al pari del colore, il suono è vibrazione terapeutica e poiché sappiamo (da Marcel Maus), che “la magia è ciò che precede la scienza” dobbiamo credere che colori e suoni possono, effettivamente, giovare o nuocere all’unità psicosomatica uomo. Modelli non troppo sofisticati sono quello “vedico” o “unani”, dove ad ogni armonia si attribuisce un sapore d’insieme: dolce (Mozart), piccante (Rossini), amaro (Beethoveen), acido (Haendel), aspro (Wagner), salato (Brahams) e una natura, più spesso secondo la coppia caldo (Debussy,; free-jazz, rock) e freddo (Bach; Respighi,; cold-jazz. Enormemente più complesso il modello cinese, studiato con difficili accostamenti fra nostra scala e scala pentatonale, soprattutto negli ultimi 15 anni (21-22). Mentre la caratteristica guaritoria della musicoterapia ancestrale africana (e quindi anche brasiliana) è la “trance”, nel caso della medicina cinese tutto avviene razionalmente secondo lo schema della “pentacoordinazione”. Per incarico del mitico Huang-di il ministro Ling-Louen raccolse “l’armonia presente nell’universo”. Per fare questo, secondo la tradizione, si recò nel nord-ovest della Cina, più a occidente di Ta-Hai, nella valle Hie-K’I, dove esistevano i più pregiati bambù. Tagliò i bambù fra due nodi per ottenere delle misure regolari. Poi scelse la nota di base a cui diede il nome koang (palazzo imperiale). Da quella nota ne nacquero altre quattro e insieme esse costituiscono la scala pentatonale dell’antica tradizione cinese. A partire dal capitolo IV del Sowen ogni nota si lega ad un organo e per suo tramite ad un movimento di energia.
Esperimenti inglesi di qualche decennio fa, avevano constatato un incremento nella produzione di latte di vacche a cui veniva fatta ascoltare musica classica. Altrettanto era avvenuto con la produzione di galline ovaiole.
Curiosamente, però, musiche poco armoniche o pezzi di rock duro, non avevano sortito alcun effetto. Come a dire: non tutta la musica trasmette vibrazioni positive. La musica che tocca il cuore, quindi, ha particolari caratteristiche: di ritmo, di armonia, di vibrazione. Nella nostra serra, per esempio, crescono rigogliosi e bellissimi dei Ficus benjamina che ascoltano buona musica quotidianamente.
Non siamo in grado di dire se dipenda solo da questo (oltre che dalle nostre buone cure), ma ci piace crederlo. Come ci piace credere che, a causa della profonda unità di tutti gli organismi viventi, una musica che tocchi nel profondo un uomo, sia in grado di toccare nel profondo anche una pianta, e viceversa. A livello cellulare, ma soprattutto a livello biochimico, c’è un’identità quasi totale tra uomini, animali e piante. E la struttura del DNA, ovvero dei cromosomi, è assolutamente identica. Deriviamo infatti tutti da un unico progenitore (forse un filamento di DNA, forse un protobatterio), sul quale poi ci siamo differenziati in autotrofi (fotosintetizzanti) ed eterotrofi, procarioti ed eucarioti, semplici o complessi ecc. Il che ci fa pensare che il nostro spirito, la nostra anima, il nostro principio di identità personale, o come lo si voglia chiamare, sia in tutto e per tutto comune. L’uomo e la natura sono la stessa cosa, e l’uomo è molto più dipendente dalla natura che non viceversa. Le piante sono tra le più antiche abitatrici di questa terra, molto prima dell’uomo, molto prima dei mammiferi, molto ma molto prima dei dinosauri. Avranno accumulato un po’ più di saggezza di quanto siamo stati in grado di fare noi? Studi svolti nell’immediato dopoguerra hanno messo in luce un potente effetto calmante, legato a ritmi che avessero la stessa frequenza del battito cardiaco che il feto sentiva nel ventre della madre.
Molti suoni in effetti possono indurre sensazioni diverse: dalla colonna sonora di un film violento (che induce all’aggressività) o del terrore (in grado di incutere paura). E i ritmi tribali, ossessivi e ripetitivi (su cui hanno svolto studi gruppi musicali molto noti, come per esempio i Talking heads), possono funzionare come droghe per chi li ascolta.
Avanzati studi sono stati svolti anche recentemente sugli effetti della musicoterapia. La musica può quindi avere un effetto biologico. E può influenzare pensieri e comportamenti, degli uomini come degli animali.
L’ipnosi stessa, usata da molti come vero e proprio strumento medico, si avvale di suoni o movimenti ripetitivi, attraverso cui riporta il soggetto curato ad uno stato originario di armonia e suggestione. Questo è lo stato di purezza originaria a cui vorremmo che la nostra musica portasse.
Tutto ciò che ha a che fare con la psiche, o comunque con le nostre sensazioni più profonde, è influenzato dalla nostra disponibilità e concentrazione. I rapporti fra musica e medicina si sono sviluppati attraverso i secoli e che la musica potesse partecipare all’alchimia dell’uomo, producendo trasmutazioni e modificazioni sostanziali, non è un concetto né solo orientale né solamente occidentale. Se la musica nel mondo tradizionale asiatico (induista, taoista, buddista), americano precolombiano ed africano ha scopi fisici e spirituali, il rapido excursus soprariportato mostra che l’attenzione per la relazione musica-salute fu grande anche nel mondo occidentale. L’attuale musicoterapia, infatti, non si basa su principi di tipo orientale[‡], ma su modelli occidentali che risalgono (nelle loro forme compiute) all'alchimia musicale di Monteverdi e della cosiddetta Camerata Fiorentina. Il rapporto fra alchimia e musica barocca fu stretto, diretto, storicamente provato.
Fra il 1570 ed il 1610, la musica strumentale, il canto solistico e il dramma si fusero in modo completo e diverso e da quell’unione nacquero l’opera e l’oratorio, i modi ancora oggi più diretti e suggestivi di parlare all’animo umano.
Aderirono a queste innovazioni (derivate dal neoplatonismo, dallo studio della cabala, dell’astrologia e dell’alchimia) Bach, Handel, Purcell, Vivaldi, che hanno concorso allo sviluppo di un linguaggio musicale ancora attuale, che sembra essere ancora (e soprattutto oggi) del tutto comprensibile.
Questo linguaggio limpido, graziosamente architettonico, ma prorompente di vitalità, deriva da una perfetta conoscenza dell’azione maieutica e terapeutica della musica. Claudio Monteverdi, l’autentico titano del nuovo linguaggio musicale-alchemico, praticava l’alchimia (introdottovi da Vincenzo Gonzaga) e dissemina di concezioni alchemiche tutta la sua opera. Più che in altre opere del XVI secolo (Splendor soli di Tresmosin o The amphiteatre of Eteranl Wisdom di Khunrath), nell’opera monteverdiana si trasfonde il senso della “musica come procedimento alchemico e iatrochimico” com’esempio evocativo di spiriti planetari le cui potenti vibrazioni e suoni potevano essere comprese e riprodotte.
Se Platone parlava d’idee pure presenti dentro di noi, Monteverdi e la “Camerata”, le cercano e le scovano attraverso la musica. Sebbene gli attuali musicologi e musicoterapisti siano portati a credere che l’emblema della visione alchemica in campo musicale, sia Emblemi, Fughe ed Epigrammi di Michael Maier del 1617, l’arte dei “duetti a confronto” e dei “trii armonici” capaci di “esseri compresi dall’anima” si sviluppa in opere monteverdiano come Il lamento di Arianna (1608) e I Vespri (1610). Monteverdi riflette sul fatto che le passioni umane sono tre, fondamentalmente: ira, moderazione ed umiltà e come, non casualmente, la nostra stessa voce con i suoi tre registri naturali (alto, medio basso) non faccia altro che esprimere queste passioni, queste inclinazioni naturali o mentalità.
Al contempo nell’arte musicale ci si riferisce ancora a queste tre inclinazioni quando si parla di stile o modo: “concitato”, “molle”, “temperato”. Infine Monteverdi nota che le passate generazioni (tardomedioevali e dei quattro-cinquecento) avevano molto usato gli stili “molle” e “temperato” e poco il “concitato”, poiché nell’animo antico l’ira, come sentimento, trova poco spazio. Intuizione geniale che, assieme agli studi della Camerata Fiorentina (soprattutto Giovanni Bardi, Giulio Caccini e Jacopo Peri), condussero Paracelso a definire la musica “cibo dell’anima”.
I musicisti-alchemico-cabalici del XVI-XVII secolo, scoprirono (prima della moderna musicoterapia”, la relazione fra suono, evocazione psichica ed equilibrio spirituale. I loro scopi, nel rispetto della tradizione di sapienza cui s’ispirarono (Platone e, attraverso la Kaballah, il mondo mistico ebraico ma anche sumero ed egizio) erano strettamente psico-spirituali (“riproduzione fedele del suono che il Cielo ci offre, con tutti i suoi benefichi effetti su tutta la terra”, scrive Caccini).
Ma mentre l’attuale musicoterapia si limita e registrare l’influenza non causale fra "armonie" e psiche, essi ritennero (e lo ritennero poi Marsilio Ficino, Giordano Bruno ed il poeta Yeats), che la musica umana (strumentale o vocale) poteva far variare il corso della vita, influenzando il cielo e gli spiriti celesti, secondo la visione ermetica che fu propria dei culti orfici tipici dell’Eurasia primordiale.
Per l’oriente la musica ci consente di “conoscere gli esseri celesti” che sovrastano e reggono la nostra vita. Ge Hong scriveva nel IV secolo d.C. (“il mio maestro insegnava che la musica ci permette di guardare all’interno e di vedere le sette anime po e le tre anime hun, in questo modo si raggiungono le podestà ed i principi del cielo e della terra”). E’ lo stesso concetto di Pitagora, di Platone, di Plinio, di Schopenauer e così via. Che la musica avesse valore terapeutico era già noto ai Metodisti seguaci di Asclepio di Bitinia, nella romana delle vittorie di Lucillo e Pompeo in Asia minore. Asclepio considerava la musica terapeutica e i diversi ritmi e le diverse melodie, in grado di variare “atomi” e “pori” (vuoti e pieni) all’interno dell’uomo.
Le culture orientali tendono ad attribuire alla musica una funzione vibratoria (energetica) e a considerarla, al pari del cibo, capace di avere un “sapore”, ed una “natura”. Al pari del colore, il suono è vibrazione terapeutica e poiché sappiamo (da Marcel Maus), che “la magia è ciò che precede la scienza” dobbiamo credere che colori e suoni possono, effettivamente, giovare o nuocere all’unità psicosomatica uomo. Modelli non troppo sofisticati sono quello “vedico” o “unani”, dove ad ogni armonia si attribuisce un sapore d’insieme: dolce (Mozart), piccante (Rossini), amaro (Beethoveen), acido (Haendel), aspro (Wagner), salato (Brahams) e una natura, più spesso secondo la coppia caldo (Debussy,; free-jazz, rock) e freddo (Bach; Respighi,; cold-jazz. Enormemente più complesso il modello cinese, studiato con difficili accostamenti fra nostra scala e scala pentatonale, soprattutto negli ultimi 15 anni (21-22). Mentre la caratteristica guaritoria della musicoterapia ancestrale africana (e quindi anche brasiliana) è la “trance”, nel caso della medicina cinese tutto avviene razionalmente secondo lo schema della “pentacoordinazione”. Per incarico del mitico Huang-di il ministro Ling-Louen raccolse “l’armonia presente nell’universo”. Per fare questo, secondo la tradizione, si recò nel nord-ovest della Cina, più a occidente di Ta-Hai, nella valle Hie-K’I, dove esistevano i più pregiati bambù. Tagliò i bambù fra due nodi per ottenere delle misure regolari. Poi scelse la nota di base a cui diede il nome koang (palazzo imperiale). Da quella nota ne nacquero altre quattro e insieme esse costituiscono la scala pentatonale dell’antica tradizione cinese. A partire dal capitolo IV del Sowen ogni nota si lega ad un organo e per suo tramite ad un movimento di energia.
La successione
è la seguente: – Cuore-Sud- nota tche – Milza-Centro-nota koang –
Polmoni-Ovest-nota chang – Reni-Nord-nota yu – Fegato-Est-nota kiao
Lo studio
musicologico attuale ci porta a compiere i seguenti accostamenti – Nota tche =
do – Nota koang = fa – Nota chang = sol – Nota yu = re – Nota kiao = la
Secondo,
poi, due testi taoisti molto antichi (Hong fan e Sseu-MaT’sien) sono possibili
queste corrispondenze morali e intellettuali: Movimento Nota Carattere
intelletuale Virtù Morale Acqua Yu (re) Serietà Sapienza Fuoco Tche (do) Ordine
Ritualità Legno Kiao (la) Sapienza Bontà Metallo Chang (sol) Armonia Equità
Terra Koang (fa) Estasi Estasi
Per la
Medicina Cinese classica i sentimenti sono sette e producono variazioni nel
flusso energetico. Nelle situazioni persistenti causano dapprima stasi, poi
vuoto di yin e di sangue, con calore e catarro: Sentimento Movimento d’Energia
Collera (Nu) Risalita di Energia e Sangue, Calore e Vuoto di Yin. Azione sul
Fegato Inquetudine (You) Stagnazione di Qi, Fuoco e lesione dello Yin. Azione
sul Polmone e sul livello Tai Yin Preoccupazione (Si) Blocco del Qi e di tutti
i movimenti. Azione su Milza-Pancreas Tristezza (Bei) Vuoto di Qi del Polmone e
del TR-Superiore con comparsa di Fuoco. Altera Polmone, Cuore e Fegato. Paura
(Kong) Fa affondare il Qi, danneggia il Rene, blocca il TR-Superiore. Terrore
(Jing) Sparpaglia il Qi ed altera lo Shen. Colpisce il Cuore-Centro Gioia (Xi)
Rilassa il Qi, ferisce il Cuore, vuota i Reni e lede lo Yang
Sappiamo che
i sette sentimenti, se protratti, causa turbe psichiche di tipo
ansioso-depressivo (yuzheng), ascrivibili alle seguenti otto categorie:
1. Stasi di
Qi di Fegato 2. Stasi di Qi e sviluppo di Fuoco 3. Disarmonia tra Fegato e
Milza 4. Vuoto di Yin di Fegato e Rene 5. Vuoto di Qi di Cuore 6. Vuoto di
Milza e Cuore 7. Rene e Cuore non hanno scambi 8. Tan che ostruiscono il Cuore
In rapporto
allo schema tripartito di Jost (vedi sopra) divideremo il trattamento in tre
fasi: 1. Musica in armonia col sentimento dominante 2. Musica neutralizzante
che vinca l’alterazione energetica principale 3. Musica che susciti un
sentimento capace di bloccare quello alterato in base alla legge dei cinque
movimenti (secondo lo Zhen Jiu Jia Yi Jing di Huangfu Mi, del II sec. d.C.).
Per fare un
esempio, prendiamo un soggetto con crisi ansioso-depressive, causate da una
lunga Inquetudine e che lamenta cefalea, oggi rossi, cervicalgie, palpitazioni,
puntate ipertensive, vertigini, polso teso e rapido, bordi linguali arrossati,
lingua secca (stasi di Qi di Fegato con sviluppo di Fuoco).
Lo schema
musicoterapico potrà prevedere: 1. Fase di “penetrazione”. Sinfonia n. 1 di
Malher, piena di Inquetudine, tristezza, profonda melanconia e rimpianto. 2.
Fase di “neutralizzazione”. Flauto magico di Mozart. Musica dolce e riflessiva,
che sblocca la stasi di Qi. Assenza di ritmi concitati che potrebbero esaltare
il Fuoco. 3. Fase di “opposizione”. Inquetudine, come la tristezza, altera il
Metallo (jin) ed è dominato dalla collera (nu) che impatta sul Legno Sinfonia
n. 3 di Beethoven, eroica, sofferta, collerica, capace di stimolare una
creatività positiva in grado di placare l’inquietudine.
Naturalmente
potremmo impiegare musiche popolari e moderne. Per lo stesso caso avremo: 1.
Blues e Spiritual (ad esempio “Jonny spielt auf” di Krenek o “Pacific 231” di
Arthur Honneger). 2. Free Jazz (Brani di Kid “Punch” Miller o Thelonious Menk).
3. Jazz classico e “be bop” (“Concerto per por fine a tutti i concerti” di Leo
Smith” o “The drums is a woman” di Duke Ellington).
Tutto
dipenderà da chi abbiamo di fronte, un sofisticato esponente della cultura
europea o piuttosto un individuo dotato di ingenuità espressiva e di cultura
alquanto “naïf”.
Letture
consigliate • Bassoli F., Frison R.: L'arte del corago. Un modello
sistemico-relazionale per la riabilitazione
psichiatrica. Esperienze di terapia con la famiglia, terapia di gruppo e
musicoterapica, Ed. Franco Angeli, Milano, 1998. • Corradini M.: Biomusica. La
musicoterapia nel suo metodo integrale, Ed. Life Quality Project Italia, Roma,
1996. • Di Stanislao C., Valente A.: La Musica nella Cina Tradizionale,
http://www.beltade.it/dettaglio_rubrica.asp?id=826&catego=105&codrub=23,
2004. • Hunneau M.S.: Musicoterapia: un metodo ancestale, Empedocle, 1991, 29
(1): 17-24. • Jost J.: Equilibre e santé par la musicotherapie, Ed. Albin
Michel, Paris, 1990. • Valente A., Di Stanislao C.: La musica come nutrimento,
in Dietetica Medica Scientifica e Tradizionale.
Curarsi e Prevenire con il cibo, Ed. CEA, Milano, 1999. • Wellesz E.: Storia
della musica. The New Oxford History of Music. Vol. 1: Musica antica e orientale,
ed. Feltrinelli, Milano, 1987.
Note [*]
Concertista; Presidente dell’Accademia Internazionale della Chitarra. [†]
Presidente AMSA; Segretario SIA; Revisore dei Conti dell’Accademia
Internazionale della Chitarra. [‡] Al simbolismo solare della musica ed al suo
moto ascensionale è ispirato anche il suo nome in sanscrito, bharadvaja, che
può significare, secondo il contesto, sia "colui che porta il nutrimento e
i beni" (come il sole), sia "colui che produce dei suoni",
ovvero il cantore di inni, sia infine "colui che sacrifica".
Bharadvaja era il nome di un poeta celebre e uno dei mitici saggi o brahmana
del Mahabharata e dei Purana, che secondo la leggenda fu nutrito da
un'allodola. Nel Tattiriya-brahmana Bharadvaja, diventato vecchio, è ormai
passato attraverso i tre gradi della vita di un penitente applicato allo studio
delle sante scritture. Un giorno il dio Indra si avvicina al saggio
domandandogli a quale scopo impiegherebbe la sua vita se gli restassero ancora
molti anni da trascorrere sulla terra. Egli risponde che continuerebbe a vivere
nella penitenza e nello studio. Nei primi tre gradi della vita brahmanica
Bharadvaja si dedica allo studio dei tre Veda (l'Atharvaveda non era stato
ancora composto o non era stato ancora ammesso fra i libri sacri). Nell'ultimo
periodo della sua esistenza terrena il saggio apprende la scienza universale,
diventa immortale e sale infine al cielo unito al sole
Nessun commento:
Posta un commento